Giovedì 31 ottobre 2019 – ore 18
Urla la fine che pianta germogli
(Marco Saya 2019)
con l’autrice Letizia Di Cagno
Si può ancora parlare d’amore – così tanto bistrattato in poesia – senza essere solo amore ma biologica sostanza dell’amato? O meglio, si può essere ciò che si ama, non per amare, ma soltanto per essere? Si può dare risposta, prova tangibile (e quindi arte) d’amore, senza passare dalla gabbia stereotipata del sentimentale spicciolo, dunque senza sbranare ma essendo sbranati? Questo sembra voler provare Letizia di Cagno (Bari, 1998) con la sua opera prima dallo struggente titolo Urla la fine che pianta germogli: ossia decifrare l’amore (e ciò che si ama) attraverso la dispersione del proprio sentimento. Il risultato di tale esperienza, ovvero quello che in questo libro resta al lettore, sono forse soltanto i cocci di un vaso in divenire, e la poetessa, da brava vasaia, lo sa bene, dato che ama il suo stesso invaso, ma anche l’incavo dell’amato, la sua lontananza che è proprio, e a ragione, dentro di lei. Poiché amore, per tutti, è stare da soli in due; amore ovvero sedimento, di una radice che alimenta due alberi. Questa è l’inversione dell’amore, la propria ri-conoscenza: un esistere attraverso l’altro e per l’altro, che siamo noi. Condizione nobile ma anche distruttiva, perciò umanissima. E cos’è il poeta, se non il più umano degli amanti, se non il più innamorato dei perdenti? Letizia di Cagno assimila bene questa lezione, offrendoci una poesia intelligente e sana, giustamente emotiva ma misuratissima, proprio come l’amore vero.
Antonio Bux